Nell’atto finale della sua trilogia del Cavaliere Oscuro, Nolan mette in bocca al commissario Gordon un commiato amaro nei confronti del protagonista della pellicola: “[…] Batman è l’eroe che Gotham merita, ma non quello di cui ha bisogno adesso”. Una definizione che si presta perfettamente a descrivere anche The Coon, il supereroe a cui Eric Cartman dà vita nelle notti di South Park. E visto che la cittadina di South Park non è altro che una visione filtrata dalle menti di Parker & Stone del mondo moderno (americano, di sicuro, e occidentale per estensione), The Coon è il supereroe che tutti noi ci meritiamo.

Un supereroe che nasce dal gusto tipico degli autori di South Park di dire quel che non si può dire: coon è una formula un po’ vetusta dell’appellativo razzista che inizia con la n. Ma è anche la forma abbreviata di racoon, ovvero il procione. E Cartman – il più razzista, misogino, opportunista e crudele della gang dei bambini di South Park – indossa proprio il costume di un procione quando di notte si aggira per le strade per combattere a suo modo il crimine. I suoi scopi non sono mai limpidi – questa volta è attirato dalle opportunità monetarie offerte da un franchise supereroistico – ma di sicuro le motivazioni di The Coon sono meno squallide della sua versione senza costume. E allora, visto che South Park siamo noi, questo è il difensore che il mondo si merita oggi.

Nato come parodia proprio della concezione nolaniana dei cinecomics, il gruppo di supereroi di South Park è entrato tardi nella mitologia della serie, ma ha presto ricoperto un ruolo importante nell’economia dello show. Per fare un solo esempio, è nell’episodio Mysterion Rises che viene rivelato l’enorme segreto con cui Kenny è costretto a convivere da sempre, geniale e drammatico cambio di prospettiva su uno dei personaggi più iconici della serie. Le trame supereroistiche sono presto entrata nei cardini della serie e non stupisce che questa ambientazione sia stata scelta per South Park: Scontri Di-Retti, titolo che segna il ritorno del franchise nell’universo dei (video)giochi di ruolo.

Al termine de Il Bastone della Verità, la gang capitana dal grande mago Cartman era riuscita a impossessarsi del pericoloso manufatto – un normalissimo bastone – grazie agli sforzi del Novellino, il personaggio impersonato dal giocatore, salvando il mondo dalla minaccia aliena dei nazi-zombie. Nell mani di Obsidian, maestri del genere, l’RPG di South Park non poteva che avere la più classica delle ambientazioni, un fantasy appunto popolato da elfi, maghi e guerrieri, in cui non mancavano le classiche contaminazioni provenienti dalla folle attualità a cui South Park ha abituato il suo pubblico: UFO, complotti, zombie nazisti e peti in faccia come armi finali con cui risolvere anche la crisi più temibile.

Nel passaggio di mano da Obisidian alla divisione interna di Ubisoft con base a San Francisco, il cambio di ambientazione ha portato con sé anche una revisione delle meccaniche. Se nei fumetti e nei film i supereroi non fanno altro che scontrarsi tra loro o contro nemici sempre più potenti, in Scontri Di-retti i combattimenti non potevano che prendersi il centro della scena. La prima rivoluzione in chiave tattica è l’introduzione di una griglia su cui si svolgono le battaglie, innovazione che introduce la necessità di ragionare maggiormente su ogni attacco, proiettandone gli effetti sulle mosse future come in una sfida a scacchi.

Gli scontri sono ovvie parodie delle battaglie tra supereroi, con la sola differenza che i poteri dei ragazzini di South Park hanno tutti effetti piuttosto sgradevoli tra peti vomitevoli, flatulenze incendiarie e caccole scagliate dalla lunga distanza. Il filtro di South Park copre e mimetizza meccaniche altrimenti classiche. Gli elementi del gioco di ruolo ci sono tutti, dalle caratteristiche da migliorare agli effetti di status dei colpi fino alle classi di ogni personaggio che nel caso del Novellino, alias Petoman, possono essere combinate a coppia, per finire con le mossi speciali da caricare durante i combattimenti. Senza dimenticare che gli scontri più importanti impiegano dinamiche diverse, imponendo di lottare contro il tempo o di dover tenere conto di attacchi potentissimi che ricoprono parecchie caselle del terreno di scontro, offrendo un po’ di varietà di cui si sente la necessità dopo lunghe sequenze di scontri simili.

Ma non è certo per la profondità delle meccaniche ruolistiche il motivo per cui la maggioranza lì fuori può essere interessata ad un gioco di South Park. Piuttosto è la possibilità di trovare in videogioco l’irriverente noncuranza del politicamente corretto con cui Parker & Stone trattano qualunque tema in tv da ormai più di un ventennio. E questa in South Park: Scontri Di-Retti c’è tutta. Nel bene e nel male.

A partire dal titolo, che nell’originale suona The Fractured But Whole, brillante revisione dell’orginale The Butt Hole of Time, bocciato dalla censura, che tuttavia faceva riferimento al potere del protagonista di piegare lo spazio tempo alle sue necessità emettendo gas dalla proprio potentissimo intestino. E le scoregge – sì, via, perché di scoregge si parla, è inutile girarci intorno e a questo punto ho anche finito i sinonimi – sono una delle colonne portanti del gioco, così come la comicità greve lo è da sempre per lo show. Ma venti ore di gag, spesso ripetute, sullo stesso tema hanno un sapore – e un odore – differente rispetto alla loro frammentazione su episodi settimanali di 20 minuti.

Come già successo ne Il Bastone della Verità, e forse questa volta ancora in misura maggiore, tornano però altri due elementi che è invece molto più raro trovare in altri prodotti, televisivi, ma soprattutto videoludici. Sto parlando di quel senso of wonder, quella sospensione dell’incredulità che caratterizza da sempre le avventure di Kyle, Stan e gli altri bambini di South Park. Perché The Coon e i suoi superamici sono davvero eroi che salvano la città partendo dalla scomparsa dei gatti domestici, ma rimangono allo stesso tempo bambini, che vedono nei pre-adolescenti delle medie una delle minacce peggiori e si scontrano con dei boss-genitori che hanno il temibile potere di metterli in castigo, sempre che non vengano interrotti da una macchina di passaggio per cui bisogna farsi tutti da parte per un momento.

Poi c’è la satira sull’attualità e qui devo aprire una parentesi. Non so se sono invecchiato e cambiato, anzi di sicuro lo sono, ma lo stesso è successo anche a South Park, e ora le nostre due visioni non si sovrappongo più così bene come accadeva un tempo – secondo un percorso descritto davvero bene da questo articolo di Waypoint. Credo ancora che si debba rivendicare con forza il diritto di ridere di tutto e di tutti, dal clero ai presidenti, dal politicamente corretto a Maometto, ma il rischio è quello di appiattire la critica e mettere tutti sullo stesso piano. E dal mio punto di vista oggi un nazi di Charlotteville e una feminazi – per usare due esempi di attualità anche gergale di cui lo show si nutre – possono essere ugualmente derisi, ma il loro peso sulla società in termini di negatività non può essere equiparato.

South Park però è [anche] questo, e forse avrà perso un po’ di mordente, ma non ha cambiato poi di molto la sua linea dalle origini. E questo tipo di comicità e critica sociale è la stessa che si ritrova in Scontri Di-retti. Per fortuna, viene da aggiungere. Perché in un mondo in cui i titoli che arrivano sugli scaffali prestano la massima attenzione a non urtare la sensibilità di nessuno, non per qualsiasi ambizione di correttezza, ma solo per massimizzare le vendite, ben venga la sfacciata gratuità dell’anti-perbenismo di South Park. D’altra parte, in quale altro RPG potrebbe capitare di dovervi difendere da due preti malintenzionati, con tanto di chiosa che “finisce sempre così quando li si lascia da soli con un bambino”, o di estorcere informazioni a due clienti ubriachi di un night club strusciandovi sulle loro parti basse mentre fate roteare a tempo gli stick del pad?



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